lunedì 22 aprile 2013

-cia e -gia

Ultimamente mi sono dedicata a fare qualche ricerchina. Purtroppo non ho libri attualmente in uso di grammatica italiana, però ho trovato da diverse fonti le stesse regole, che penso sia importante dire per il bene dell'italiano. ;)


Devo ammettere che fino all'altro giorno "sbagliavo" anch'io, o meglio, ero indietro con gli aggiornamenti (troppo frequenti) della lingua italiana. A me, difatti, avevano insagnato che -cia e -gia al plurale non volessero MAI la "i".
Purtroppo o per fortuna, i tempi cambiano e si è giunti a nuove conclusioni:
se la c o la g sono precedute da una vocale, allora al plurale la "i" ci va.
Per fare alcuni esempi:

Cuccia - cucce
Pioggia - piogge
Camicia - camicie
Acacia - acacie

Per le famose valigia e ciliegia, sono tutt'ora accettate entrambe le versioni, con e senza "i": quindi potete scrivere valige e valigie, ma anche ciliege e ciliegie.

Se avete qualche informazione da farmi aggiungere, ben venga. :)
E' proprio vero... D'imparare non si ha mai finito!

giovedì 18 aprile 2013

Una notte

Ed ecco a voi un mio vecchio raccontino. Spero vi piaccia.



Mi svegliai di soprassalto. Di solito non mi capitava, ma erano giorni che si ripeteva. Come se non bastasse, avevo pure un folle batticuore. Possibile? Le tre in punto di notte. Era sempre uguale anche l’ora. Mi guardai attorno. Non mi sembrava ci fosse fuori posto, per lo meno così pensai all’inizio. Una cosa diversa in effetti c’era. Un fruscio d’ali che sembrava provenire da fuori la finestra. Non ci feci caso, vivendo in campagna capitava che le civette svolazzassero lì vicino. Mi risistemai a letto, ma mi rialzai subito. Una piacevole sensazione si era impossessata di me, però non capivo da cosa fosse provocata. Mi girai verso la porta della mia stanza e vidi un ragazzo che mi osservava con dolcezza e che sembrava essere vagamente luminoso.
Aveva i capelli castani e gli occhi azzurri più intensi che mai avessi visto. Volli gridare ma, invece, riuscii solo a sospirare. Mi sentivo tremendamente nostalgica, al posto di provare paura. Lui si avvicinò e mi appoggiò la testa sul petto per ascoltare i battiti del mio cuore. La nostalgia venne sostituita da singhiozzi soffocati. Era ciò che provava il suo animo, ne ero certa. Mi fissò negli occhi.
«Aiutami».
La sua voce era melodiosa e lontana. Non riuscii a dire nulla, solo ad annuire. Sorrise.
«Chiudi gli occhi».
Mi sentii come se fossi tornata bambina. Gli ubbidii. Percepii vicinissimo il suo strano ed inebriante odore ed avvertii il tocco delle sue labbra sulle mie. Un tocco misterioso, particolare, ma stupendo. Aprii gli occhi. Lui si staccò e vidi una cosa incredibile: risplendeva come la luna piena ed aveva delle meravigliose ali bianche.
«Un angelo!», riuscii ad esclamare non troppo forte, nel timore di spaventarlo o di farmi udire dai miei genitori.
«Mi ero perso e le mie ali stavano sparendo. Però con i miei ultimi poteri avevo avvertito la purezza del tuo cuore e mi ero innamorato di te. Per noi creature angeliche funziona così. Non pensavo che l’amore fosse così forte da ristabilirmi completamente».
Ero senza parole. Avevo baciato un angelo, salvandolo da chissà che orribile destino per un tale essere. E me n’ero anche innamorata, sarebbe stato impossibile il contrario. Come si potrebbe non amare una potente e celestiale creatura come lui? Per quello che emanava, per il suo aspetto… e per il modo con cui mi aveva baciato. Non avrei mai pensato di essere ancora così tanto immacolata da poterlo attrarre. Temevo che crescere mi avesse corrotto, mi sentivo così.
Si avvicinò di nuovo e di nuovo mi baciò. Più a lungo, però, e più intensamente, come per spazzare da me quei pensieri. Poi si separò all’improvviso. Un canto delicato e gioioso risuonava non molto lontano.
«Sono i miei fratelli», disse, «mi richiamano tra loro».
Mi guardò.
«Aspettami tra un anno».
«Sì», gli risposi senza sapere che altro dire.
Poi, lui aprì le ali e, appena compì il primo movimento per sbatterle, scomparve alla mia vista.

Oggi è passato un anno giusto. Spesso mi sembra non sia passato neppure un giorno. Allo stesso tempo, mi sembra sia stato solo uno strano sogno che non ho mai dimenticato. Dopotutto, subito dopo che lui scomparve, io ripresi immediatamente sonno.
Però i sentimenti che provai allora li provo tutt’oggi. Nulla li ha mai cancellati o affievoliti. Né il tempo, né altri ragazzi, né altre passioni terrene. Sarebbe possibile innamorarsi perdutamente di un sogno? Non lo so.
Guardo l’ora. Sono le tre di notte. Non sono nemmeno riuscita ad addormentarmi, forse scioccamente. Ma questo rumore cos’è? Sembrerebbe un fruscio d’ali…

giovedì 11 aprile 2013

Infingardo: un esperimento





Questo post partecipa all’iniziativa Una parola al mese. La parola di aprile 2013 è infingardo (al link maggiori informazioni).








Pensando che post avrei potuto fare per questa bella parola (a me piace molto!), ho avuto un'idea un po' curiosa. Nella mia testa ho pensato "quale sarà l'opposto di infingardo?" e come risposta mi sono detta "leale".
Per cui, girovagando nel web, ho trovato una poesia, a mio parere molto carina, chiamata proprio Lealtà di Maria Sestito (di cui però non è permessa la riproduzione).

Per come la vedo io, quello di cui scrive la poetessa è una chiara definizione di persona infingarda. E volevo, sperando di non far danno, ispirarmi alla sua poesia, rendendola invece una definizione di lealtà, intitolata Infingardo.
Mi auguro che vi piaccia!

INFIGARDO
Infingardo tu non fosti amico caro
mostrandomi da sempre ogni tuo lato
senza timore o bugia, come sei raro,
 standomi sempre vicino e affiatato.

Ti ammiro e lodo tale vasta virtù
che io persi durante la vita o la scuola
sperando che me la insegnerai tu
prima di lasciarmi per sempre sola.

mercoledì 10 aprile 2013

Corvo



Sei di nero piumaggio

e basso retaggio,

fai tremare i cuori

che in te prevedon dolori.

Sei visto maligno

eppur non fai un ghigno,

eri pure adorato

con qualche dio dimenticato.

Ma io ti osservo interessata

e dal tuo significato affascinata,

oh corvo dei boschi,

ritenuto re di presagi foschi.



Quando ci si sente vicini alla meta...

Ho appena concluso una delle mie solite lunghe ed inutili riflessioni.
Si dice che tutti hanno un sogno. Qualcuno osa dire che alcuni sognano di più degli altri e altri ancora sostengono di non crederci più. Anche se, secondo me, i sogni non sono un discorso di credibilità: sono soltanto qualcosa di cui non ti potrai mai liberare e che, nel bene e nel male, troveranno sempre il modo di donarti assieme gioia e dolore. (E se qualcuno vuole commentare qui sotto parlando del suo o dei suoi sogni, ben venga!)
Questa premessa per arrivare dove?
Beh, credo che tutti, chi prima e chi poi, arrivino a un passo dai loro sogni, come recita la bella canzone Disney de La Principessa e il Ranocchio (che al più presto approfondirò). Per me è così esattamente adesso.
Eppure mi sono accorta che è proprio questa vicinanza quasi insperata che, a poco a poco, mi sta disfacendo l'anima.
Il mio sogno, se non fosse conosciuto ai più, è quello di poter scrivere. Nel preciso sarebbe pubblicare un libro, ma si vedrà...
Tornando al discorso principale, finalmente, un paio di anni fa, ho deciso di rimboccarmi seriamente le maniche e darmi da fare. Contattare editori, ricontrollare i miei vecchi testi e le mie poesie, darci sotto con nuove storie, prepararmi a confronti e miglioramenti, mettermi in gioco... E ora, un po' alla volta, sto ottenendo le prime soddisfazioni. Forse non diventerò famosa (per ora, ahahah!), ma è comunque un grande punto d'orgoglio arrivare tra i finalisti di un concorso. Oppure sentirsi dire da qualcuno di competente che il proprio materiale è buono. O anche solo vedere il proprio nome in un libro, sebbene abbiano pubblicato tutti i racconti pervenuti!
Così, ultimamente, ho cominciato a sentirmi più vicina che mai al mio obiettivo: cominciare a farmi conoscere e a far valere la mia scrittura.
Eppure mi sento così... perduta! Vi capita mai?
Mi sento come se fossi dietro una porta socchiusa, al di là della quale c'è esattamente ciò che voglio. Ma io non sono invitata, quantomeno non ancora, ad entrare, potendo solo origliare e spiare da dove sono. E il timore che questa porta si richiuda oppure che mi "scoprano e mi sbattano via" mi schiaccia. Ultimamente direi che non riesco a pensare ad altro!
Ci siete passati voi? Avete forse qualche consiglio?

mercoledì 3 aprile 2013

Ricordo ad eventuali passanti di dare un'occhiatina alla pagina Concorsi: è scarna, ma c'è ancora una settimana per l'idea molto carina del concorso 3Narratori del blog Argonauta Xeno.

Buona giornata a tutti. :)

lunedì 1 aprile 2013

La favola vista dal principe

Signori e signore, re e regine, dame e messeri...
Torno con i piedi per terra. ;)
In questo post vi metterò il video del "reading" (e il testo) di questa favola alternativa, scritta da me, che mi ha permesso di arrivare tra i 7 finalisti (su 64! Felicità!) all'Ateneo dei Racconti, concorso indetto dall'Università di Trento.
Quella buffa figura sul palco che legge e gesticola con scarso successo, sono io. Eheheh!
Spero vi diverterete lo stesso. 





“Principe, principe! E’ or ora giunto un comunicato! Sir Filippo è appena stato divorato dal drago! Era l’unico che era arrivato fino all’entrata del castello!”.
Il principe Ettore sospirò sconsolato. Era il classico ragazzo biondo con gli occhi azzurri, avvenente. Il perfetto principe azzurro (anche se lui vestiva di verde e bianco). Certo, voleva far vedere la sua abilità, voleva farsi valere e voleva trovare il vero amore… Ma doveva proprio andarlo a cercare dentro un castello decadente?
Sì, insomma, parliamone: andare a salvare una bellissima principessa gli andava bene (che poi, che fosse realmente bellissima non poteva saperlo finché non l’avesse vista), ma c’era da contare che quella poveretta era colpita qualche orribile maledizione, abbandonata a sé stessa in un’altissima torre (e qui si chiedeva, come fa ad essere ancora viva? Non mangia mai? E se anche dormisse un sonno magico, ha la pelle antideterioramento?), bloccata lì da un drago ed un lago di lava… e la strada per raggiungerla era assurdamente impervia! Nessuno tornava, il suo amico d’infanzia era appena morto... e ora toccava a lui partire.
Ma altri dubbi lo assillavano: i genitori della ragazza, come accidenti ce l’avevano portata? Non si poteva chiedere loro di andarla a riprendere e poi lui l’avrebbe baciata? Non era difficile pensarci! Ma non si poteva tirare indietro: avrebbe perso l’occasione della sua vita.
“Grazie Gregorio… Ora mi preparo”.
Uscì sulla terrazza della propria camera e osservò la sua terra. Respirò a fondo e cercò di prepararsi psicologicamente al viaggio, riportando alla memoria gli insegnamenti ricevuti: se l’amore è con te, il destino vi unirà… altrimenti perirai nell’impresa.
Ma col cavolo, pensò lui, e se io avessi altri progetti nella mia vita? No, se vedo che sono in difficoltà, me la defilo! Ma poi ne risentirebbe il mio onore… Va bene, scapperò, mi ferirò e tornerò talmente malconcio che nessuno oserà dire nulla!
Sorrise soddisfatto. Quella principessa avrebbe perfettamente potuto aspettare il principe dopo di lui, senza che lui per primo ci rimettesse la pelle. Uno in più o uno in meno che differenza le avrebbe fatto?
Si vestì elegantemente com’era tradizione (e mentre lo faceva, si chiese ancora: ma se devo affrontare mille imprese, non sarebbe più conveniente qualcosa di comodo?) ed indossò l’armatura che era appartenuta a suo padre.
Accidenti, ci navigo dentro!, notò guardandosi. La tolse ed andò a mettere la sua.
Preparò una sacca di medie dimensioni con un buon numero di provviste, piccole armi e qualche oggetto utile se si fosse accampato. Si avvolse nel mantello con il cappuccio e scese dalle sue stanze fino al giardino, sacca in spalle, seguito da Gregorio.
“Il mio bianco stallone?”
“Li abbiamo finiti, signore…”
Lo guardò interdetto. Ah, beh, effettivamente tutti i principi del regno prima di lui erano partiti su un bianco stallone. Allora prese un normale cavallo da guerra, con il pelo corto e pezzato.
Partì per il suo viaggio. Subito girò un po’ in tondo, non sapeva bene dove andare. Alla fine, notò il cartello che indicava la direzione del vecchio castello e vi si diresse.
Cavalcò tutto il giorno senza sosta, attraversando boschi e villaggi del proprio regno, ma appena calò la notte si arrestò.
Non ho intenzione di viaggiare giorno e notte come tutti, rifletté, sennò quando arrivo sono stanco morto e soprattutto mi vengono i reumatismi!
Legò il cavallo ad un albero e si sdraiò lì vicino, dormendo tranquillo per tutta la notte. La mattina dopo, ripartì ed il programma del giorno prima si ripeté per una settimana. All’ottavo giorno, arrivò all’inizio del deserto. Non vi era nulla che potesse segnare la strada. Se vi fosse entrato, si sarebbe sicuramente perso.
Ma scusa, rimuginò tra sé, il deserto non è infinito… Qui inizia e da qualche parte dovrà pur finire! Lo girerò seguendo i confini, no? Sarà più lungo, ma meno pericoloso!
Così diresse il cavallo verso destra e lo fece ripartire al galoppo. Dopo appena un’ora, trovò effettivamente la fine del deserto. Con sua sorpresa, vide un bel sentiero appena un po’ più in là, che continuava apparentemente per tutta la lunghezza del deserto, in parallelo ad esso, subito prima di una foresta. Lo percorse, mettendoci due giorni, sempre fermandosi per la notte, ed al terzo si ritrovò in un villaggio vivace.
Ma… dove sono?, si chiese.
Scese dal cavallo e si avvicinò ad una vecchietta che filava sulla porta di casa.
“Mi scusi signora… Sono il principe Ettore. Mi domandavo dove sono! Devo andare fino al castello dove è rinchiusa la principessa, come lo posso raggiungere da qui?”.
L’anziana signora cominciò a ridere e si sporse dentro l’abitazione.
“Mella! Vieni qui! Finalmente è arrivato un principe intelligente!”.
Cercando di contenersi, si rivolse a lui, che la fissava infastidito.
“Mi scusi, Mio Signore, ma deve sapere che Lei è il primo che giunge dal sentiero! Gli altri attraversavano il lungo deserto, ma ovviamente quasi nessuno ne usciva vivo! Poi tutti quelli che ce la facevano proseguivano per il sentiero dei burroni, cercando di guadare la zona dei torrenti, inoltrandosi nella palude e, se riuscivano, inerpicandosi sulla montagna! Pace all’anima loro, ma nessuno è arrivato in fondo! Solo un giovanotto un paio di settimane fa, del quale però, una volta entrato nel tunnel del drago, è rimasta solo metà armatura annerita, gettata giù dal mostro perché non commestibile!”.
“Ma come… non è quella la strada che va fatta per arrivare al castello?”, domandò Ettore, spiazzato.
Una signora di mezza età uscì dall’abitazione e gli sorrise con dolcezza sentendo la sua domanda, mentre l’altra si rimetteva a ridere. Gli fece segno di seguirla.
“E’ una strada”, disse l’ultima arrivata, “ma non l’unica! E’ solamente la più pericolosa!”.
Lui la seguì in silenzio, sbalordito. La donna lo condusse fino alla periferia del villaggio, verso est. Lì vi era un altro sentiero, che procedeva in pianura.
“Guardi, Le basta seguire sempre questa via! Corre parallela alla zona dei burroni e finisce su un grande ponte che attraversa l’impetuoso fiume, formato dall’unione dei torrenti! Al dì là di esso, la strada prosegue, completamente bonificata, ma comunque occhio alle zanzare che sono fameliche, e termina alle grandi scalinate delle fortezze montane! Ci impiegherà la metà del tempo, oltre ad essere in completa sicurezza! Buon viaggio!”.
La donna gli sorrise ancora e se ne andò. Lui la guardò allontanarsi e rimase lì, cercando di capire. Esisteva veramente la strada alternativa? Gli sarebbe rimasto solo il drago da affrontare? Sarebbe stato fantastico!
Decise di fidarsi e ripartì.
 Cavalcò per appena un’altra settimana, con l’unico fastidio delle zanzare e del cibo che cominciava a scarseggiare, giungendo senza intoppi alle Grandi Scalinate. Vi erano le fortezze militari istituite per proteggersi da attacchi da parte del regno al di là della montagna. Quando arrivò, gli si dimostrarono tutti cortesi, riempiendogli addirittura la sacca con nuove provviste. Gli chiesero addirittura di sostare un po’ con loro, era una rarità che qualcuno di tanto importante passasse in quella zona. Lui ringraziò ma disse di no.
“Mi dispiace, devo trovare un sentiero per salire sulla montagna ed andare a salvare la principessa!”.
Dopo un attimo di silenzio, le quattro guardie che lo avevano accolto cominciarono a ridere come la vecchietta. Ettore si sentì terribilmente preso in giro.
“Che avete?”.
“Scusi principe”, cominciò il più anziano dei quattro, “ma non Le serve un sentiero. Basta che saliate le scale nella roccia fino alla fortezza centrale, vede, quella lì a metà montagna. Può salire a cavallo, per sera Vi arrivate. Da lì, Vi fate issare nel cesto delle provviste della principessa  e Vi solleveranno fino alla fortezza sulla vetta!”.
“Nel cesto delle provviste della principessa…? Fortezza sulla vetta? Ma lei non è in un castello decadente sorvegliato da un drago e tutt’attorno un lago di lava ribollente?”.
Cercando di trattenersi dal ridere nuovamente, l’uomo di prima continuò:
“Assolutamente no! E’ nell’ultima fortezza! Siamo noi Guardie Basse, con cambio di turni con le Guardie Alte, che la sorvegliamo, impedendole di scendere! E che la portiamo nel tunnel ogni sera!”.
“Nel tunnel? Ma non è dove abita il drago? Perché le impedite di scendere?”.
“No signore, è ella stessa il drago! Il lago di lava l’ha formato lei al centro del tunnel, dalla rabbia! Ve la portiamo prima che si trasformi e ve la leghiamo, poiché la maledizione la fa divenire incontrollata! Il tunnel è fatto apposta per essere piccolo alle entrate e alle uscite, così se anche rompesse le catene non potrebbe scappare e distruggere il regno in un’ondata di pazzia”, aggiunse un altro degli uomini, sorridendo.
Lui li fissò quasi spaventato. Doveva salvare la principessa… da sé stessa? Come fai a non farti ammazzare dal drago se non puoi ucciderlo perché è proprio chi devi salvare? Gli altri ridacchiarono vedendo la sua espressione.
“Non si preoccupi”, ricominciò il primo, “se alloggia la notte alla fortezza centrale, arriverà da lei in tarda mattinata e non ci sarà nessun problema! La maledizione ha effetto solo di notte”.
Ettore annuì. Ok, c’era qualcosa che non tornava. Ma perché non dare loro retta? Al massimo sarebbe tornato indietro a mani vuote. Li ringraziò della compagnia e delle informazioni e, rimontato a cavallo, s’avviò per le scalinate. A sera arrivò alla fortezza centrale e lì spiegò alla guardia del portone che voleva alloggiare lì la notte e la mattina dopo farsi issare fino alla fortezza alta per andare a salvare la ragazza. La guardia annuì con un sorriso.
“Finalmente! Quella fanciulla era ormai inconsolabile! Soprattutto dopo che ha mangiato l’ultimo arrivato!”.
Ettore rabbrividì, ma cercò di non darlo a vedere. Dormì lì, dopo essersi ristorato con un bagno caldo ed una cena abbondante, ed appena fu mattina salì nel grosso cesto senza destriero, facendosi sollevare. Quando ne uscì, si guardò attorno. C’era effettivamente un’altissima torre. Chiese alla guardia che si occupava della carrucola dove fosse la principessa.
“Eccola, sta arrivando, sono appena andati a riprenderla dal tunnel”.
Capperi, ma allora è vero, dicono tutti la stessa cosa!, pensò un po’ allarmato. Ma ogni sconcerto, dubbio, paura o altro sparirono quando si voltò e la vide arrivare. C’erano con lei una balia e due guardie. Lei indossava una comoda veste dorata e ambrata. I suoi capelli, con un taglio appena più lungo di uno a caschetto, erano marroni con sfumature rosse e i suoi occhi di un blu intenso.
Era veramente una bellissima ragazza, chiaramente focosa e con qualcosa di selvaggio ed animalesco del drago nello sguardo e nel portamento. Ma gli piacque subito.
Lei lo guardò e si bloccò. Si fissarono per qualche momento in estasi, vittime di un colpo di fulmine. Poi lei gli fu praticamente addosso, con un travolgente, caldo e passionale bacio, ma d’amore. Lui ricambiò, sopportando una dolorosissima scossa magica dalla lingua alla punta dei piedi, che non risparmiò dal male nessun punto. Si allontanò stordito, mentre la ragazza sveniva, presa al volo dalle guardie. La principessa riaprì gli occhi quasi subito e la balia si avvicinò. Ettore si accorse solo allora che era la fata madrina di lei.
“Bene si è rotto l’incantesimo, ma non serviva il bacio! Se mi davate un momento avrei potuto spezzare l’incantesimo usando l’innamoramento della principessa Cecilia”.
La fissarono entrambi, lei con gli occhi sbarrati dalla sorpresa, lui ancora dolorante e furioso. Però poi la gioia di Cecilia esplose.
“Sì, evviva!! Finalmente sono libera!! Posso tornare a casa!!”.
Si rivolse verso Ettore con un sorriso.
“Grazie!”.
Gli si appese al collo e lo baciò di nuovo. E questa volta andò decisamente meglio. In fretta e furia, lei si fece portare i suoi oggetti personali, mentre il principe meditava sulla situazione.
Non ho fatto nulla di valoroso… me la lasceranno sposare lo stesso? Dato che tutti sembrano sapere che si può arrivare qui senza rischio…
Fu proprio in quel momento che la fata gli si accostò e lo osservò.
“Allora… ti devo dare un aspetto credibile…”.
“Come?”.
“Certo, non vorrai tornare indietro senza nessuna prova momentanea della tua fatica, no?”.
Non ebbe il tempo di ribattere che la donna con i suoi poteri gli creò un paio di ammaccature sull’armatura, gli sbrindellò l’orlo del mantello e fece uno strappo sui pantaloni, con un taglio poco profondo alla stessa altezza sulla gamba, ma per nulla doloroso.
“Ecco! Ora puoi vantarti delle tue imprese!”.
Lui rimase immobile, occhi e bocca spalancati d’incredulità. Non poté impedirsi di ridere. La principessa, già pronta per la partenza, lo prese per un braccio e lo trascinò via.
Nel giro di tre settimane, furono al castello di lui, dove fu ricoperto di onori e gloria, e venne celebrato il loro matrimonio.
Ai posteri venne narrato come il valoroso e giovane principe affrontò sul suo bianco destriero mille e più avversità, viaggiando ininterrottamente giorno e notte, sconfiggendo senza difficoltà il drago e salvando la principessa da un orribile destino di sonno eterno grazie ad un dolcissimo primo bacio di vero amore.
Quelli che sapevano la verità vennero pagati per il loro silenzio e per essere i più fervidi sostenitori di quelle storie d’avventura, e vissero tutti per sempre felici e contenti.