Tutti noi conosciamo l’Everest: la
montagna più alta del mondo, una vetta istintivamente considerata
irraggiungibile tanto da aver concesso di coniare l’espressione “è come scalare
l’Everest” quando si tenta di fare qualcosa di incredibile o quasi impossibile.
Uno di quei grandi elementi naturali che si pone con maestosità innanzi ai
nostri occhi curiosi, ai nostri corpi minuscoli e limitati, e sembra sfidarci
sebbene sia semplicemente una montagna. O forse è la Montagna.
La via è stata aperta nel 1953, la prima
e più famosa scalata che raggiunse la vetta. Da lì molti altri hanno poi voluto
ripetere l’esperienza, soddisfare il proprio senso dell’avventura, il proprio
ego… raggiungere quella libertà e quel compiacimento che solo un’impresa così
ardua sa dare. Inizialmente solo professionisti, poi però anche escursionisti
meno abili… fino ad arrivare alla vicenda di cui tratta il film.
La pellicola è infatti ispirata da una
storia vera avvenuta nel 1996. Due gruppi di scalatori decidono si salire l’Everest
nello stesso periodo e nello stesso giorno, assieme, collaborando. Una scelta
saggia, incoraggiata dal fatto che “non deve esserci competizione tra le
persone. C’è solo competizione tra ogni persona e questa montagna”, per essere
più sicuri contro le avversità e per non rischiare di ostacolarsi a vicenda. Il
primo gruppo è l’Adventure Consultants, la società di Rob Hall, mentre l’altro
gruppo è una spedizione turistica guidata da Scott Fischer.
Rob e Scott sono amici, sono esperti,
sono abituati all’Everest e guidano con saggezza, ma anche con spirito diverso,
i loro seguiti paganti. Rob è più un papà che tiene i suoi escursionisti per
mano, pronto a restare accanto a quello più in difficoltà. Scott è più
hardcore, chi è guidato da lui deve farcela da solo oppure non deve salire
sulla vetta, ma è leale e sicuro di sé.
Si possono fin da subito apprezzare
diverse caratteristiche della pellicola: la prima è che non è un elogio o una
demonizzazione della montagna o dell’uomo, ma uno sguardo oggettivo, completo,
realistico ed informato. Di tutti i protagonisti si scopre qualcosa, si vedono
le emozioni, le difficoltà, i desideri, qualcosa della loro vita, specialmente
di alcuni di loro che, per un motivo o per un altro, durante il proseguo del
racconto si rivelano più centrali. Inoltre nella parte iniziale del film viene
ben tratteggiato il contesto, vengono riferiti dati, viene dato un chiaro
scorcio della situazione. E quando il gruppo d’escursionisti di Rob si
approccia per cominciare questa esperienza, viene delineata e spiegata ogni
evenienza, ogni problema che il corpo umano può riscontrare ad alta quota e al
freddo.
Perché inevitabile è il confronto tra ciò
che siamo noi e ciò che è il gigante che in questo caso ci si appresta ad
affrontare. La debolezza umana e dei suoi mezzi si scontra con la durezza
naturale e difficilmente prevedibile. Siamo i piccoli che vogliamo salire sulla
testa del mondo e molta parte del film ha scene puntate quasi esclusivamente
sull’uomo. Ma il paesaggio si fa sempre notare, da solo, nel bene e nel male.
Si creano quindi diversi momenti anche
contrastanti: mix di vittorie, di soddisfazioni, sogni che si scontrano con
terrore, dolore, fatica. Di sentimenti è pieno il film, come di bellezza e
distruzione, di momenti rilassanti che si trasformano in situazioni al limite,
fino a far percepire tangibile l’incombenza della fine. Il tutto prende quella
forma e quel sapore del “sublime” romantico, ondeggiando da un estremo
all’altro senza mai uno stacco netto… e lasciando lo spettatore col fiato in
gola.
Forse qualcuno conosce già la vicenda e
forse altri riusciranno ben ad intendere cosa sta per succedere, ma anche la
storia mantiene quell’imprevedibilità che caratterizza le alte quote. Non è
permesso, a chi osserva, di riposarsi e riprendere fiato; non è permesso
dimenticare l’intero contesto, fatto sia dalla montagna che dalla vita che
aspetta a casa i nostri protagonisti.
Rimane quindi solo una cosa da fare:
osservare senza giudizio ed entrare in sintonia con gli uomini (e donne)
proiettati sullo schermo, poiché in ogni caso “l’ultima parola spetta sempre alla
montagna”. E nulla di quel che potrà essere detto poi cambierà il passato…
sebbene possa forse guidare il futuro.
Voi l'avete visto? Cosa ne pensate?
Nessun commento:
Posta un commento